CELLA Art Gallery apre la stagione espositiva con una mostra collettiva che chiama gli artisti a confrontarsi con un tema ricco e stimolante che riguarda tutto l’affascinante mondo delle erbe selvatiche. Il territorio ligure offre grande varietà in tal senso e non c’è persona che non abbia ricordi legati alla natura che ci circonda, in questa terra stretta tra monti e mare.

Agli artisti si chiede di ispirarsi dalle erbe, aromatiche e/o selvatiche, del nostro territorio elaborate secondo il loro stile e il loro sentire, di farsi suggestionare dal pensiero dei prati battuti dal vento di mare che porta sulle erbe il profumo della salsedine; dai colori dei campi sempre e solo in salita dove tutto è fatica: sia la coltivazione sistematica che il raccolto estemporaneo; dal profumo delle erbe in fioritura illuminate dal sole; dal simbolismo e dal significato intrinseco di esse.

 

LE ERBE NELLA STORIA DELL’ARTE

 

La storia delle erbe selvatiche si perde fin dalla notte dei tempi così come la loro rappresentazione nella storia dell’arte, se si pensa che già nelle Grotte di Lascaux in Dordogne (Francia) sono presenti le più antiche raffigurazioni di erbe officinali che risalgono al 18.000 a.C.

Dal medioevo in poi e, soprattutto, nel rinascimento le erbe sono sempre state dipinte nei paesaggi dei grandi artisti dell’epoca. I pittori del rinascimento dipingendo prevalentemente opere di carattere religioso, frequentavano spesso i monasteri dove, nei chiostri, potevano approfondire la conoscenza botanica delle erbe officinali coltivate dai monaci negli “Herbulari”. In tanti dipinti, come in Giovanni Bellini nella “Pietà di Martinengo” ad es., sono chiaramente presenti il convovolo, il prezzemolo, il tarassaco. Le piante hanno anche motivi simbolici ed è sorprendente la grande rappresentazione delle erbe officinali riconoscibili per l’accuratezza e l’esecuzione dei dettagli. Leonardo Da Vinci nel suo straordinario ventaglio di interessi non si fece mancare la botanica, scienza della natura per eccellenza: le tracce della passione per piante, alberi e fiori abbondano nell’opera del maestro, dai codici manoscritti ai capolavori di pittura. Ma anche la meravigliosa Artemisia Gentileschi, per restare ad una mostra attuale in questo periodo, in una delle sue “Morte di Cleopatra”, pone accanto alla regina morta una canestra con fiori di borragine, che rappresenta il coraggio, e di tarassaco, che indica il dolore. Senza arrivare alla Primavera del Botticelli che conta oltre 500 specie diverse tra fiori ed erbe. Insomma, paesaggi e le scene dipinte nei campi hanno mostrato da sempre le erbe selvatiche presenti sul luogo e gli esempi non si contano.

 

Per restare nella nostra terra, grande è la tradizione di utilizzo sia in cucina che come medicamento delle erbe aromatiche e di quelle selvatiche. Forse non c’è in Italia un’altra regione che ne faccia così ampio uso.

Le erbe liguri sono profumatissime e particolarmente aromatiche grazie al clima favorevole e sempre soleggiato e all’influenza sia delle montagne che del mare, che con la sua brezza conferisce loro caratteristiche inconfondibili.

Molte crescono spontaneamente nelle campagne ed essendo la nostra cucina essenzialmente di ispirazione povera, il popolo ligure le ha adottate per creare piatti e insaporire pietanze, dal momento che la ricchezza e la varietà della cucina ligure, si basa generalmente su pochi e semplici ingredienti, spesso vegetali e “poveri”, ma nobilitati da una grande arte combinatoria.

Oltre alle profumate aromatiche, grande è l’utilizzo di un insieme di erbe selvatiche conosciuto, perlomeno da Genova fino a tutta la Riviera di Levante, ma anche in alcune zone dell’appenino parmense, col termine “preboggion”. Il termine indica «un misto di erbe di campo ove entrano anche rosolacci ancora non vegetativi, oltre a varietà d’insalate selvatiche» (come riportato nel dizionarietto genovese-italiano di A. Sismondi, in G. Battista, G. Ratto, Cuciniera genovese, Pagano, Genova, 1963). Ma dove nasce, invece, il termine preboggion? La derivazione più credibile sarebbe dal verbo preboggî, riferito alla leggera bollitura cui devono essere sottoposte le erbe prima del consumo.

Favorita dal clima di luoghi in cui le erbe del preboggion si possono raccogliere in giorni di sole anche nei mesi più freddi dell’anno, spesso da febbraio in avanti, la raccolta è un’attività più tipicamente femminile e, di recente, è oggetto di crescente interesse, di corsi, di passeggiate guidate che si concludono di solito con la preparazione e il consumo collettivo di quanto scoperto e riconosciuto.  Alle varie erbe selvatiche che possono comporre il preboggion, come ad esempio borragine (buraxe) cicerbita (scixèrbua), tarassaco (dente de can), sanguisorba (o pimpinella), ortica, prezzemolo, grattalingua (rattalêgua), silene (s-cioppettina), raperonzolo (ranpónso), aglietto selvatico, finocchietto, bietole di prato e molte altre, si possono riconoscere anche proprietà medicinali.

 

LA COLLABORAZIONE

La mostra è stata pensata in collaborazione con l’azienda ROSSI 1947 che vanta, nella figura del suo titolare ROBERTO PANIZZA, ambasciatore della Liguria nel mondo e creatore del concorso di pesto al mortaio, uno tra i più grandi esperti di erbe selvatiche della Liguria. Lo chef sarà presente durante l’inaugurazione per raccontarci la storia delle erbe di Liguria e creerà per l’occasione una serie di finger food ispirati alle erbe del nostro territorio.

Roberto Panizza, famiglia di commercianti da tre generazioni, vive e lavora a Genova, con uno sguardo sul mondo.

La produzione del suo pesto genovese tocca 24 paesi nel mondo, ristoratore, pioniere nell’e-commerce, organizza da vent’anni il Campionato Mondiale di Pesto al Mortaio.

È ossessionato da sogni e progetti che fatica a reprimere, e che lo divertono un sacco.

“Una cosa che amo di Genova è il vento. Lo so, a molti può dare fastidio, a me dà carica di energia. Amo il vento in mare e in terra e mi ricorda quando da bimbo aprivo il cappotto, mani nelle tasche e provavo a volare… E poi la storia. Ogni pietra a Genova può raccontare qualcosa. Di recente e di antico. E anche di molto antico. Così antico che è stato assorbito dalla memoria collettiva e se ne è persa la genovesità. Succede nei grandi avvenimenti storici ma anche nelle faccende più popolari, come la cucina. Ma non pesa troppo. È un piacere sottile dei genovesi quello del basso profilo, l’understatement: sapere cose che gli altri non sanno, vedere cose che gli altri non vedono provoca un piacere sottile e sornione. Fino a che poi non si rivela tutto in un colpo solo. Una città ruvida ma solida, una grande amica quando trovi le giuste frequenze per comprenderla. Per questo e non solo, amo Genova”.