Redazionale per la rivista d’arte SATURA – 4°trimestre 2008
Il percorso artistico di Giorgio Levi (Genova, 1930) attraversa gli ultimi 40 anni della nostra storia sviluppandosi attorno alla ricerca continua della conoscenza, al di là del visibile, cogliendo la bellezza e la plasticità del microcosmo e trasferendolo sulla tela. Essendo uomo di scienza conosce molto bene ciò di cui tutta la natura è formata, la cellula. Sarà questo il leit-motiv che lo accompagnerà. E infatti vediamo, già a partire dagli anni ’70, il primo nucleo della sua pittura, un sole, contaminato, intercettato, interrotto da griglie e tabulati in un formalismo mondriano che vira quasi subito dalla rigidità geometrica dei primi lavori a quella fluidità materica che sarà poi la sua caratteristica principale. E il cerchio del singolo sole si disfa in tanti microrganismi cellulari fluttuanti sulla tela dove il colore si fa intenso, protagonista. Questa evoluzione lo porta alla produzione degli anni ’80 dove i richiami a Burri e a Fontana sono evidenti ma sempre collocati in quella dimensione di ricerca, c’è sempre qualcosa sotto i tagli, oltre le bruciature, dietro le saracinesche di cartone ondulato: un’altra realtà oltre quella visibile. E le opere si fanno materiche, dense. Levi usa con rara maestria la plastica a evidenziare membrane ultracellulari che uniscono e separano, la colora, la brucia, usa il cartone ondulato e lo rompe, lo frammenta. Usa resine, pietre, smalti, legni, vernici. Nelle sue mani la materia si fonde e confonde, diventa respiro e forza espressiva. Agli inizi degli anni ‘90 evolve verso una nuova espressività figurativa dove alla materia aggiunge la fotografia e da essa parte per descrivere la natura: paesaggi mai classici, mai iconoclastici inseriti in una sorta di collage dove le onde sono plastica e i girasoli si fondono con oli e resine e la corteccia diventa un modulo che ritorna ad essere unico e ripetuto nel micro come nel macrocosmo. La fotografia, le lastre mediche, i vetrini del microscopio ricorreranno in tutta la produzione dell’ultimo decennio dove Levi si pone come attento osservatore, dell’infinitamente piccolo ma anche, della vita di questi nostri anni che viene denunciata attraverso opere che ricordano i graffitismi americani degli anni ’80, dove la poetica pop si mescola a segni criptici e ripetitivi che inglobano le foto. La modernità continua nelle opere di “laboratorio” dove la cellula ritorna per essere attaccata dall’ago che la modifica geneticamente o da una non ben specificata materia scura che entra nella tela e la contamina. Ma il quadro di rottura con il suo stesso passato è l’insieme di più opere che Levi rompe e ricrea denominandolo appunto “Rinascita” e che lo porta, nel suo ultimo percorso creativo, a spogliarsi dei supporti fotografici, della materia e della realtà, mantenendo la cellula come protagonista in un contesto di pura fantasia, e dove ritorna alle sue origini usando solo l’olio a supporto del gesto creativo che ora è ampio e dà respiro ad un’entità finalmente libera.