Ha inaugurato, nello spazio M&M di Alessio Menesini, la personale di Nicola Oliveri.

“Svolgo il mio passo acceso alle veggenti
distese d’erba e anche al tuo passato,
uomo dei boschi, che mi sei sereno
quanto angosciata è la mia certa vita.
E lasciando le docili pasture
della ragione voglio smemorarmi
nei tuoi canti boschivi, sì che amore
torni al mio seno e mi riaccolga intatta.
Forse tu mi hai sentito, quando ferma
nel sonno io gridavo il mio rancore
contro la vita, e certo mi hai chiamato
con lo strumento avido di suoni;
per questo, Pan, io vengo e nella corsa
perdo il mio velo e mi dimostro ignuda”

                                                                                           Alda Merini   

                                                                                           Psyche a Pan

 

Nicola Oliveri è disegnatore, pittore, scenografo e poeta visivo. Questa eccletticità lo porta a sviluppare il suo lavoro attraverso una ricerca che si concentra nel segno grafico teso alla descrizione non solo iconografica della figura umana, ma altresì volto all’analisi di un’interiorità e di una tensione psicologica a essa sottesa. I suoi ritratti descrivono figure delicate, eteree ma avvolte in un’inquietudine apparentemente indecifrabile. Il segno elegante è il suo tratto distintivo e se ne serve per descrivere sguardi tormentati che fissano lo spettatore e lo portano a sé, coinvolgendolo nella loro afflizione. Questo segno diventa quindi una ragnatela di angoscia che avvolge i visi come un filo sottile, non solo metaforico poiché Nicola lo utilizza come strumento analitico. Egli parte dall’analisi della poesia della Merini che ha, come il resto della sua lirica, una forza arcana, aspra ma anche dolcissima. Interpretandone il significato delinea sui volti il mistero, la vibrazione e, nel contempo, una struggente malinconia, inseguendo quell’inquietudine dell’anima in bilico tra lucidità e follia. E’ Psyche, la bellezza, che decide di non accompagnarsi a Eros per il quale si dannò arrivando, nel suo anelare a esso, quasi alla morte. Ella invece sceglie di andare verso Pan, la bestia, tanto selvatica e brutale quanto Cupido è bello e superficiale. E si fa così selvaggia e voluttuosa anch’essa. Dietro l’oggettiva bellezza dei volti s’intravede l’angoscia procurata dalla volontà di scappare da un’immagine precostituita che sente non appartenerle più. E’ anche l’idea di tornare alla Natura come Madre, creatrice e origine di tutto, dopo averne fatto scempio inseguendo finte vanità di potere e di progresso. Nicola rende magistralmente le tensioni interiori che questa scelta comporta con il suo segno raffinato, con i chiaroscuri sfumati, con interventi a olio trasparenti come acquerelli. Irretisce lo spettatore in un gioco ambiguo fatto di apparente, giocosa serenità. Quando lo sguardo si fa più attento è oramai ipnotizzato da quei visi indecifrabili finché non viene pervaso anch’esso dall’inquietudine. Il suo segno è quindi il filo conduttore che afferra per mano lo spettatore e lo conduce attraverso tutto il suo lavoro, talvolta disorientandolo. Perché ai ritratti di cui si è detto, affianca figure antropomorfe che esistono solo grazie al tratto vibrante che le rende vive, le fa emergere dal foglio liberandole dal loro stato di quiete grazie alla sua capacità di descrivere stati di tensione psicologica con una grande leggerezza segnica. Ci porta, infine, al mondo allegro dei bambini disorientandoci nuovamente. Anche in essi il segno è tutto, ma qui è reso veramente giocoso, quasi si fosse liberato da sensi di colpa e arrovelli psicologici e tornasse alla nascita, a uno stato ancestrale, puro senza alcuna sovrastruttura.

Barbara Cella